Walter ha vent’anni, un diploma, qualche speranza e molti dubbi. Intanto studia filosofia, legge Hemingway e Ginsberg e litiga col padre che lo incita a farsi una posizione. Il sabato sera esce con gli amici e cerca il vero amore. Walter guarda il mondo e lo sogna migliore e forse, prima o poi, scriverà un romanzo…
Walter, tipico giovane non alla moda, tipico 'sfigatello' anonimo, per niente cool, senza soldi, con un padre che gli rompe le palle affinchè non si trovi un lavoro e si sistemi. Gli amici? e chi ha amici? Non di certo Walter. più che altro sono
conoscenti. Torino lo avvolge, con le sue vie sempre identiche, con personaggi fuori di testa. Walter è iscritto a filosofia ma non da neanche un esame e quelli che da... beh, non li passa. La sua vita è raccontata con ironia pungente al limite del tragi-comico.
Bello, bellissimo, l'ironia e la critica di Culicchia costruiscono il suo - forse - miglior libro. Culicchia costruisce una sorta di alter-ego, un personaggio che vive la sua esperienza post-diploma come una tragedia. Il finale è il solito amaro-in-bocca che tanto amo. Facile da leggere, non impegnativo, ma assai piacevole.
Il libro ha ispirato il (bellissimo) film omonimo interpretato da Valerio Mastrandrea, dove sono apparsi anche i CSI. (
scheda film)
Giro giro tondo, casca il mondo...
Verso la fine degli anni Ottanta il mondo pareva proprio sul punto di cascare e io nell'attesa mi limitavo a girare in tondo, giorno dopo giorno. Facevo sempre più o meno lo stesso percorso. Senza una meta. Ogni giorno le stesse vie. Le stesse vetrine. Le stesse facce. I commessi guardavano la gente fuori dai negozi come gli animali allo zoo guardavano i turisti. Rispetto a loro mi sentivo in libertà. Ma ero solo libero di non far niente.
Via Po piazza Castello via Roma. Piazza San Carlo via Carlo Alberto via Lagrange. Piazza Carignano piazza Carlo Alberto via Po. E poi di nuovo: piazza Castello, via Roma, piazza San Carlo. Tutti i giorni. Giorno dopo giorno. Chilometro dopo chilometro. All'infinito. La suola del mio unico paio di scarpe si era tutta consumata. Mi sforzavo di camminare appoggiando il meno possibile il piede sulla strada ma riuscivo soltanto a saltellare. Non volevo un lavoro da commesso. Non volevo fare carriera. Non volevo rinchiudermi in una gabbia. Intanto però la mia gabbia era la città. Le sue strade sempre uguali erano il mio labirinto. Senza un filo a cui aggrapparmi. Senza più nulla da vedere.